Non si può certo dire che nella nostra città manchino appuntamenti di vario genere. Ma è vera promozione culturale?
Massì, ammettiamolo pure: da qualche anno a questa parte a Taranto non si corre il rischio di sacramentare sulla mancanza di eventi. Ce ne sono stati e ce ne sono di tutti i gusti. Insomma, lamentarsi sarebbe un controsenso. Ma è vera promozione culturale oppure solo una certa capacità nell’organizzare concerti, rassegne, appuntamenti di vario genere?
Credo, e lo dico senza timore, che ci sia differenza tra le due azioni. Oddio, tutto ciò che serve alla città per aggregarsi, viverla più intensamente, in un certo senso riappropriarsene, è assolutamente positivo: Taranto non può e non deve essere cenerentola sotto questo aspetto, anzi.
Ben vengano, perciò, come accennato, concerti, rassegne, appuntamenti di vario genere, festival e… pseudo festival (mi è scappato, và…): insomma, una città in movimento in qualche modo è segnale di vitalità, effervescenza, voglia di mostrare positività oltre le nubi velenose delle ciminiere.
I dubbi che assillano il sottoscritto (ma non solo…) riguardano il valore assoluto di questa offerta cosiddetta culturale. Nel senso che appare più capacità organizzativa (intercettare risorse economiche e sfruttarle acquistando eventi) che promozione della cultura. A scanso di equivoci, lo ripeto: serve anche questa capacità di organizzare. Ma, secondo il sottoscritto (e non solo…), non basta.
Quante volte ci sentiamo dire che a Taranto manca la cultura, il senso civico e quindi di comunità, l’amore vero e a 360° della città? Quante volte si denunciano il degrado, l’inciviltà, la strafottenza, il voltarsi dall’altra parte e altro ancora? Ecco, quando si vogliono cambiare le cose, o almeno provarci, si parte dalla base. Se, giusto per fare l’esempio più eclatante, la città è sporca, allora gli interventi non possono essere solo repressivi o di reprimenda verso gli incivili: non è solo colpa dei cittadini, la raccolta dei rifiuti non funziona da anni e ne vanno individuate le cause anche organizzative. Perché se le cose restano così come sono e si accusano gli incivili quale causa di tutti i mali, allora il cittadino normale – che fesso non è – tende pian piano ad adeguarsi: tanto, comportarsi civilmente non serve a nulla. Non basta una narrazione splendida per nascondere la polvere sotto il tappeto, in sostanza.
Che c’azzecca, direte voi? C’azzecca, c’azzecca: l’esempio arriva da chi amministra. Per cui seminare senso civico e perciò costruire la comunità, è di certo compito non facile: ma bisogna pur cominciare. E ciò vuol dire anche – e qui vengo agli eventi – saper coniugare le capacità organizzative con la valorizzazione della nostra cultura, della nostra Storia. Bene i concerti e gli appuntamenti con celebrità di varia natura (musicisti, sportivi, teatranti, etc.): serve a guardare oltre i nostri confini, conoscere altre realtà. Ma promuovere con un respiro maggiore ed esaltante ciò che Taranto può offrire, significherebbe compiere un percorso identitario per sentirsi più vicini, più orgogliosi e più amorevoli verso la città, più disposti a difenderla e preservarne la bellezza. E, allo stesso tempo, offrire oltre confine storie importanti di personaggi importanti e, state certi, conosciuti in tutto il nostro Paese ma anche al di là delle Alpi.
Perché ciò che accade qui è che giornate dedicate alla storia tarantina spesso sono il frutto di iniziative associazionistiche, per cui non hanno la visibilità necessaria affinché siano acquisite fuori dai nostri confini. O meglio: se riescono a catturare interesse oltre Taranto è per il tam tam mediatico che riescono, le associazioni, a creare specie nel tempo.
A fine anni ’40, la nostra città realizzava il ‘Premio Taranto’, quella che fu definita la ‘Biennale del Sud’, e qui giunsero personaggi del calibro di Giuseppe Ungaretti, lo stesso Pier Paolo Pasolini, giusto per citarne qualcuno: la nostra città era proiettata nell’elite della cultura italiana. Una esperienza durata sì poco ma che seppe coniugare l’esigenza di attrarre intellettuali italiani di grandissimo spessore con il ‘brand’ Taranto. Insomma, la nostra città protagonista sfruttando celebrità non necessariamente tarantine.
E, tanto per ricordare qualcosa di recente, allorquando il compianto Cino Ricci, skipper di ‘Azzurra’ nella Coppa America, organizzava il ‘Giro d’Italia a vela’, Taranto ne ospitò la carovana ma ne fu diretta interessata perché in gara c’era l’imbarcazione ‘Divani&Divani – Città di Taranto’. Per non parlare della ‘Spartan Race’ o della rievocazione storica della ‘Milano-Taranto’.
Di esempi, insomma, ne potremmo citare a iosa, perché sostenere quel che di tarantino esisteva ed esiste – ed è riconosciuto dappertutto – dovrebbe diventare una routine.
Qual è, dunque, la conclusione? Intanto, che la cultura di una città cresce e si fortifica attraverso la somministrazione di conoscenza identitaria: più si conosce Taranto fra i cittadini, più la si ama, più la difendiamo e la custodiamo. Ecco perché una grande sforzo in questo percorso sarebbe la leva per esaltare Taranto e distribuirla meglio fuori dai suoi confini.
In definitiva, c’è bisogno di concerti e grandi eventi di respiro nazionale, ma anche e soprattutto di concerti e grandi eventi dalla trama identitaria grazie alla straordinaria storia di questa città.
p.s.: mi chiederete: perché nel titolo si parla di tormenti? Beh, provate a chiederlo ai cittadini e ai commercianti del Borgo, i primi imprigionati e i secondi rassegnati per i magri affari ormai sistematicamente non appena c’è una mezza manifestazione in centro città. Eppure, ci sarebbero altri luoghi da sfruttare, no?
…e potrei aggiungere la “vera” Fiera del mare…..