Che succede se il sindaco cambia casacca?

Assolutamente nulla. Il perché è nell’attuale architettura dei Comuni, che molti vorrebbero replicata a livello nazionale.

Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare dell’ingresso ufficiale in Italia Viva di Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto e presidente della Provincia. Anche noi ne avevamo scritto tempo addietro, giocando a fare i facili profeti su quanto sarebbe accaduto e riflettendo sull’assurdo di vedere proprio Melucci, novello Giulio Cesare pugnalato diciassette volte, unirsi non ai fedeli Ottaviano e Antonio (e cioè il PD che lo ha difeso a spada tratta) ma ai novelli Bruto e Cassio che (parole sue) si sono macchiati di “tradimento”.

Pertanto, avendo già fatto a suo tempo queste considerazioni di carattere strettamente politico, non le ripeteremo. Vorremmo, invece, prendere spunto da quanto sta accadendo ora a Taranto per una riflessione più ampia.

La riforma del 1993

Tutto ebbe inizio nel 1993, quando il sindaco Melucci frequentava ancora il liceo e chi vi scrive non era nemmeno nato. Per rispondere alla crisi ormai irreversibile del sistema politico italiano fu varato un imponente piano di riforme, da quella elettorale (con l’adozione del maggioritario ad opera di Mattarella) a quelle economiche (privatizzazioni) a quella degli enti locali. Si decise allora che il sindaco non dovesse essere più eletto dal consiglio comunale come era stato sino ad allora, ma bensì direttamente dai cittadini.

In trent’anni sono cambiate molte cose; i mandati, ad esempio, non durano più quattro anni ma cinque e i sindaci dei comuni più piccoli possono ora ricandidarsi fino a tre volte (e non due come per tutti gli altri). E si vorrebbe cambiare ancora, con l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) che per bocca del presidente Decaro, sindaco di Bari, ha chiesto espressamente al Parlamento di deliberare l’eliminazione del limite al numero di mandati.

Com’è cambiata la politica cittadina?

Tutto questo ha portato, sostengono i fautori di questo modello politico, maggiore stabilità. E se questo significa che i sindaci non cambiano, è senz’altro vero. Tuttavia, non si può negare che fermo restando il sindaco, è prassi in molti Comuni (e qui a Taranto ne abbiamo avuto numerosi esempi) che gli assessori cambino come cambia il vento, con singole deleghe riattribuite o interi rimpasti di giunta. Rimpasti che possono comportare, nei singoli assessorati, paralisi di progetti e cantieri anche per periodi lunghi.

Ma questo non è il fatto più rilevante.

Se il Consiglio comunale, infatti, non può più sfiduciare il sindaco senza mettere fine alla consigliatura, questo significa che in mano al primo cittadino viene consegnato un potere enorme, che si può riassumere un po’ brutalmente con “O votate quello che dico io, o mi sfiduciate e si va tutti a casa, anche voi”. Una condizione che ha gradualmente portato all’irrilevanza del consiglio comunale, tramutato in mero organo di ratifica di decisioni prese altrove.

E così arriviamo all’assurdo per cui anche il voto dei cittadini non ha più nulla di politico, ma diviene esclusivamente un voto alla persona del sindaco o del singolo consigliere, che poi di quel voto può fare più o meno ciò che vuole. E allora il giorno stesso dell’insediamento del Consiglio già non si riconoscono più le formazioni politiche presenti sulla scheda elettorale e può perfino succedere che ad appena un anno e mezzo dalle elezioni il partito che esprime più consiglieri e addirittura il sindaco sia un partito che alle comunali del 2022 non si presentò nemmeno (Italia Viva, in questo caso).

Una politica fatta sempre più di leader

Queste riflessioni, però, non si chiudono nel piccolo dei Comuni. L’idea di una politica fatta sempre meno di partiti e sempre più di leader piace a tanti. Piace al leader di Italia Viva Renzi, che proprio come sindaco di Firenze divenne famoso a livello nazionale e che ha sempre auspicato un modello “sindaco d’Italia” per il governo nazionale. Piace, soprattutto, a chi ci governa in questo momento, con la proposta di una riforma costituzionale che istituisca un “premierato all’italiana”.

La riflessione che vorremmo consegnarvi, allora, è questa: per decidere se ci piacerà il nuovo assetto costituzionale su cui forse verremo chiamati a votare nei prossimi mesi, osserviamo attentamente quello che sta accadendo nei Comuni e chiediamoci se sia questo il modello che vogliamo.

Author: Alessandro Greco

Docente di Italiano e Storia e giornalista pubblicista. Dal 2015 collabora con "La Vita in Cristo e nella Chiesa", fra le più autorevoli riviste italiane di liturgia, con contributi principalmente sul mondo giovanile e sulla Letteratura (con articoli tradotti all'estero). In passato ha scritto per Nuovo Dialogo e soprattutto per il CorrierediTaranto.it, per il quale è stato prima cronista sportivo e poi cronista politico, sino al 2022. Ha collaborato brevemente anche con "L'Edicola del Sud". È co-autore del documentario in dieci puntate "Taranto, la città nella città - Guida ai vicoli per tarantini distratti (e turisti curiosi)".

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