Lo scempio si è compiuto: l’elezione di Luigi Abbate alla Presidenza del Consiglio consegna le istituzioni cittadine in mano ad accordi di potere
Fino a qualche tempo fa, quando un cronista si preparava a partecipare ad una conferenza stampa politica di una certa importanza, sapeva con certezza che ad un certo punto si sarebbe palesato fra le file della stampa l’autoproclamato paladino e vendicatore dei drammi di Taranto, Luigi Abbate. E si sarebbe dovuto preparare, il nostro cronista, a sopportare gli interventi polemici, saccenti e prolissi del suddetto paladino/giustiziere/vendicatore, a reggere i decibel del suo studiato crescendo vocale che culminava in un inevitabile “vergogna!” urlato in favore della propria telecamera, debitamente preparato con accuse non solo al politico di turno, ma anche a tutto il resto della stampa “asservita”, proprio quella che nel frattempo provava inutilmente a trovare uno spiraglio nella sua infinita verbosità che le consentisse di fare il proprio lavoro.
Personalmente ho vissuto questa scena più volte. Ricordo in particolare quando il vendicatore Abbate si rese protagonista di una vera e propria aggressione verbale ai danni dell’allora ministro Di Maio, in un salone della Prefettura; una domanda che era un comizio, senza un vero punto interrogativo alla fine ma con risposte già precostituite e funzionali solo alla polemica sterile.
Tutto ciò considerato, non posso dire di essere rimasto sorpreso quando, ad un certo punto, il paladino ha voluto candidarsi personalmente alle massime cariche cittadine. Il suo modus operandi (i latinismi gli piacciono molto, quindi gliene facciamo volentieri omaggio) era già da tempo sin troppo auto-centrato perché potesse accontentarsi semplicemente di raccontare vicende politiche in cui i protagonisti erano altri.
È iniziata allora l’era del consigliere giornalista, di quello che si portava l’operatore in aula e che durante gli interventi (suoi e degli altri consiglieri) forniva indicazioni registiche su come ottenere gli effetti più sensazionali, come qualsiasi cronista d’aula potrà confermare per averlo visto con i propri occhi.
Eppure, nonostante una concezione radicalmente differente del giornalismo (e delle istituzioni), non si poteva non riconoscere a Luigi Abbate perlomeno una certa coerenza e “sincerità” delle proprie battaglie.
Fino ad oggi.
Perché quanto è accaduto non ammette, onestamente, alcuna possibilità di interpretazione. I fatti parlano chiaro. Il più accanito accusatore di Melucci (e quando parliamo di accuse non parliamo di banali divergenze politiche ma di attacchi violenti, personali, spesso ai limiti dell’insulto) si tira indietro all’ultimo secondo quando si tratta di apporre una firma dal notaio per far cadere l’amministrazione e qualche mese dopo, “casualmente”, viene eletto Presidente del Consiglio Comunale dopo una modifica regolamentare fatta ad hoc (un altro latinismo, perdonateci) per consentire che ciò accadesse.
Già, perché il vero punto di tutta questa storia non è lo sconcertante trasformismo di Abbate, esemplificato anche dalla giacca e cravatta che nulla hanno a che vedere con l’immagine da cronista di strada a cui siamo abituati; e non è nemmeno la mostruosa mancanza di amor proprio del sindaco Melucci, che pur di restare in sella ad un’amministrazione Frankenstein è disposto a votare “Abbate tutta la vita”, elevando così al più alto scranno della massima assise cittadina il proprio velenoso insultatore.
No, il punto non è questo.
Il punto è che detti personaggi, con la connivenza del resto dell’assemblea, pur di rispettare i termini del proprio finanche legittimo accordo, hanno fatto scempio delle istituzioni cittadine. Una modifica regolamentare che ha abbassato il quorum per la sfiducia al presidente a soli 17 voti (la metà più uno dei componenti l’assemblea), trasformando di fatto una figura di garanzia per tutti in un burattino sotto il costante scacco della maggioranza di turno; una modifica che ha fatto sì che l’elezione del presidente avvenisse non più con una scheda in un’urna, strumento evidentemente troppo civilizzato, ma a voto palese per chiamata nominale.
A voto palese! Come se al seggio elettorale anziché entrare in cabina e tirare dietro di noi la tenda dovessimo dichiarare a voce al presidente di seggio per chi stiamo votando.
Una cosa talmente assurda da far ribrezzo.
Cosa succederà da ora in avanti, è difficile dirlo. Ad ogni modo, auguri a Luigi Abbate, sperando abbia finalmente raggiunto ciò che cercava. Auguri a Rinaldo Melucci, la cui salute politica non è mai stata così cagionevole. E auguri a Taranto, città da oggi meno democratica, non certo per il nome di Luigi Abbate ma per il modo in cui è stato posto a forza sullo scranno più alto di Palazzo di Città.
Ah, e auguri (tanti) a tutti coloro che ancora blaterano di prendere a modello per il governo nazionale la “legge dei sindaci”. Venissero a farsi un giro in un Consiglio Comunale come il nostro. Scoprirebbero che, forse, la vecchia e cara democrazia parlamentare pura non era così male…